Il Circolo
LETTURA ITALIANA E STRANIERA, INFORMATICA E VARIE
|
8) Saggi e Recensioni - MARIO LUZI CUSTODE E CANTORE DELLA "CIVITAS"
BOZZA - IN ALLESTIMENTO
«La città dagli ardenti desideri».
Mario Luzi custode e cantore della civitas*
A Mario Luzi,
in memoriam
A cura di Dom Bernardo
(Monaco Benedettino di San Miniato a Monte)
L’idea e l’immagine della città per me non è mai stata tanto quella puramente paesistica, quanto il suo insieme e la sua comunità. E’ stata sempre civitas più che urbs. E può benissimo dirsi immagine agostiniana. La città è un corpo, percorso da diverse pulsioni dell’agire umano e storico, ma è anche realtà illuminata dalla natura. E’ vero che il mio destino è stato più quello di segnare come auspicio i termini vitali della città, mentre dati storici o di cronaca osservati mi hanno più spesso significato l’offensiva del male, nelle sue diverse forme. La città sotto l’azione della violenza e della corruzione si disgrega, come Alessandria in Ipazia, come la città moderna, Firenze, sotto l’alluvione. La raffigurazione, naturalmente, è reale e simbolica nello stesso tempo e vuole denunciare che la città umana senza idea vitale si sfascia.
Sono queste le parole con cui Mario Luzi, rispondendo a Stefano Verdino in una conversazione pubblicata nel 1997, cercava di render ragione della cordiale e partecipe ospitalità accordata nella sua opera alla città, accoglienza creativa che possiamo facilmente immaginare come esito di un vigilante ed appassionato sguardo su di essa, realtà organica e memoria vivente che il poeta vuole e deve ascoltare, custodire, emendare, riscattare.
Nemmeno la palude di lurido fango che il diluvio del 1966 rovescia come ignobile pellicola di morte e distruzione su Firenze riesce ad annegare la speranza del poeta, la cui memoria biblica si fa accorata e addirittura orante testimonianza del mistero pasquale cui allude un fulmineo, ma esplicito inciso del dialogo ospitato nella lirica intitolata Nel corpo oscuro della metamorfosi, ai vv. 20-43:
«Prega», dice, «per la città sommersa»
venendomi incontro dal passato
o dal futuro un’anima nascosta
dietro un lume di pila che mi cerca
nel liquame della strada deserta.
«Taci» imploro, dubbioso sia la mia
di ritorno al suo corpo perduto nel fango.
«Tu che hai visto fino al tramonto
la morte di una città, i suoi ultimi
furiosi annaspamenti d’annegata,
ascoltane il silenzio ora. E risvegliati»
continua quell’anima randagia
che non sono ben certo sua un’altra dalla mia
alla cerca di me nella palude sinistra.
«Risvegliati, non è questo silenzio
il silenzio mentale di una profonda metafora
come tu pensi la storia. Ma bruta
cessazione del suono. Morte. Morte e basta.»
«Non c’è morte che non sia anche nascita.
Soltanto per questo pregherò»
le dico sciaguattando ferito nella melma
mentre il suo lume lampeggia e si eclissa in un vicolo.
E la continuità manda un riflesso
duro, ambiguo, visibile alla talpa e alla lince.
Ancora una significativa allusione alla sopravvivenza si rinviene in una lirica che ci rammenta l’altra grande ferita inferta alla Firenze del ’900, quella della seconda guerra mondiale. Il poeta immagina di poter contemplare la sua città, nobile e sofferente, dall’alto del passo della Consuma, in Memoria di Firenze (1942):
E quando resistevano
sulla conca di bruma
le tue eccelse pareti sofferenti
nella luce del fiume
tra i monti di Consuma,
più distinto era il soffio della vita
intanto che fuggiva;
e là dove sovente s’ascoltava
dai battenti socchiusi delle porte
origlianti la luna
la tua voce recedere in assorte
stanze ma non morire,
non un pianto, una musica concorde
coi secoli affluiva. Senza un grido,
né un sorriso per me lungo le sorde
tue strade che conducono all’Eliso…
Un’altra città, non ancora esplorata, per il suo immediato apparire come meta sospirata ed organica compagine di singole biografie e di vicende collettive, di case, mestieri, mercati e chiese, si lascia invece immaginare dalla partecipe fantasia del poeta, «nuovo di queste vie, ma non straniero», con evocative metafore che rimandano a secolari monasteri o a navi che traghettano, come biblica arca, l’esistenza. Alla mirabile Richiesta d’asilo d’un pellegrino a Viterbo, la città dove il poeta sosta presumibilmente nel 1954 per gli esami di maturità, si accompagna una suggestiva prosa coeva alla lirica, edita per la prima volta nel 1955, dove Luzi così scrive: «Viterbo appare come il termine o la tappa favolosa ai sensi afflitti dell’antico pellegrino dopo un duro viaggio… la città si leva intorno come un grande bugno picchiettato di luci nelle cui celle stanno artigiani, frati, mercanti mentre lo spazio sconfinato s’abbuia». Ancora: «L’umile fontana quasi claustrale che era perché le donne fiere e fini di qui vi attingessero acqua s’innalza tazza su tazza tra le linee avvolte e rotte dalle statue a creare un grande spettro». E come si diceva, oltreché in un cenobio, il dedalo luminoso di case e di anime immerso nel buio e nel vento della notte fa immaginare al poeta di trovarsi «sul ponte di una nave ancorata nello spazio e nel tempo».
Così invece, nel ritmo peculiare della poesia, le ultime tre stanze:
La donna prende acqua alla fontana,
risale su per il proferlio, guarda
quella nave ancorata nel cielo ch’è Viterbo
poi rientra, sparisce nell’interno
della casa, della città, del tempo.
Nuovo di queste vie, ma non straniero
ho sentito l’infermo sulla soglia
pregare per la sorte di quest’arca
con il suo andirivieni d’operai,
le sue case crepate, i suoi animali,
i suoi vegliardi acuti ed i suoi morti.
Ho lasciato alle porte i miei cavalli,
ho chiesto asilo e molto supplicato
d’esser preso a farne parte. Vigila
ora tu, scruta i segni della notte.
Non diversamente dal dialogo ospitato fra le stanze già ricordate de Nel corpo oscuro della metamorfosi, anche qui si ritrova l’allusione alla preghiera come vitale relazione che ospita nel cuore dell’orante l’intera civitas: vero custode della porta della città è infatti «l’infermo», immobile e forse reietto, ma capace di «pregare per la sorte di quest’arca/ con il suo andirivieni d’operai». E al poeta, che supplica di entrare a far pienamente parte di quella communio civile, si deve adesso sostituire qualcuno che sia capace di vegliare sulla città, capace di scrutare ciò che la notte prepara come incubo, minaccia o speranza, mentre la civitas è avvolta dal sopore.
Altrettanto intenso e viscerale è l’approdo al cuore della città che il poeta immagina esperito da un grande maestro del Gotico Internazionale, cui Luzi ha dedicato una delle sue più ispirate sillogi: il Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini, edito a Milano nel 1994. Non si farà fatica a scorgere come anche l’impianto urbanistico e gli elementi architettonici di Siena, analogamente a quanto si è già notato a proposito della Richiesta d’asilo d’un pellegrino a Viterbo, rimandino con ancor maggiore pathos al vissuto della civitas che nasce, muore e quasi s’eterna in quelle strade e in quelle case:
E ora lo conduce la vacanza
al cuore antico della sua città
stralunata dalla feria.
E lui si perde
-sono io ancora?-
dall’una all’altra
in quelle stupefatte vie
attirato in una rete
d’immaginate e vere sofferenze,
evoca - alcuni ne rivede
con il fiato sospeso
tra memoria e senso-
coloro che accesero con lui
di vita quelle alte case
e vi portarono morte,
misero eternità in quelle stanze.
Il tempo, lo sente nella carne,
pieno e vuoto di loro
in sé tutto equipara,
però non li elimina
di tutta
quella caducità si gloria,
e umilmente la glorifica. Città. Torri.
Allo sguardo del pittore era già parso che la luce del tramonto svelasse l’autentica, drammatica, fragile consistenza del nobile tessuto che fa di una città, prima ancora che un sistema di edifici e di spazi, un «costato» ferito dalla vita:
Nel ricordo o nel presente?
Entra, sera di sole,
sera estrema di solstizio
nel costato di Firenze,
ne infila obliquamente
i tagli, le fenditure,
ne infiamma le ferite,
le croste, le cicatrici,
ne infervora le croci,
le insanguina copiosamente.
Lui controcorrente
si trascina la sua ombra
verso quella sorgente.
In fronte gli si scheggiano le linee,
gli si disfanno le moli,
gli si frantumano i tetti
sopra una polverizzata gente.
Risale lo sfacelo,
scansa quelle macerie
di una
Data di creazione: 19/06/2008 @ 23:24
Ultima modifica: 19/06/2008 @ 23:50
Categoria: 8) Saggi e Recensioni
Anteprima di stampa
Stampa l'articolo
|
ISCRIZIONI AL CIRCOLO
QUESTO PORTALE HA UN COSTO DI GESTIONE SIA FINANZIARIO CHE DI IMPEGNO PERSONALE PER I RESPONSABILI DEL CIRCOLO CHE LO GESTISCONO.
CHI CI VOLESSE AIUTARCI POTREBBE ISCRIVERSI AL CIRCOLO VERSANDO LA QUOTA ANNUALE DI 10,00 EURO.
UN ALTRO SISTEMA PER CONTRIBUIRE ALLA COSTITUZIONE DI UN FONDO PER LA GESTIONE DEL CIRCOLO E' QUELLO DI ACQUISTARE I MIEI PRIMI LIBRI DI POESIE ("La sabbia negli occhi" e "Ad Occhi chiusi - Poesie d'amore"). IL 20% DEL COSTO DI COPERTINA (10 euro il primo e 15 il secondo) SARA' DEVOLUTO ALLA CASSA DEL CIRCOLO.
LA QUOTA DI ISCRIZIONE SARA' UNA RISORSA POSITIVA PER LA PROGRAMMAZIONE DELLE ATTIVITA' DEL CIRCOLO E LA CORRISPONDENTE SOMMA POTRA' ESSERE DEDOTTA DALLA QUOTA DI LETTURA RICHIESTA A COLORO CHE PARTECIPERANNO ANNUALMENTE AL BANDO LETTERARIO.
Salvatore Armando Santoro - Presidente
Ricerca
Newsletter
|