Giovanni Pascoli e il fonosimbolismo
di Caterina Trombetti
Il periodo che va dagli ultimi due decenni dell’Ottocento allo scoppio della prima guerra mondiale è un periodo caratterizzato da grandi tensioni internazionali. I principali stati europei, per far fronte alla depressione economica, da una parte adottarono la misura del protezionismo, dall’altra intrapresero una politica coloniale nel tentativo di trovare sbocchi alle proprie economie. Ebbe così inizio una politica imperialista che produsse attriti tra le potenze europee, e culminò, dopo varie dimostrazioni, repressioni e attentati, nello scoppio della guerra.
Il movimento artistico e letterario che si produce in questi anni è il Decadentismo, anche se ci sembra di poter affermare che non si possa limitare al primo quindicennio del Novecento. Infatti la coscienza più generale della crisi dell’uomo moderno, la consapevolezza di appartenere ad un mondo in disfacimento e il disagio nei confronti della cultura e della società, sono motivi che permettono di definire come decadente un atteggiamento verso la vita, le cui conseguenze sono ancora avvertibili nel nostro tempo.
Il termine “decadentismo” nasce intorno al 1880 in Francia da un gruppo di poeti fra cui Verlaine, Rimbaud e Mallarmé, che ripresero in senso provocatorio il termine “decadenti” con cui in senso dispregiativo li avevano definiti i critici. Il gruppo elaborò la sua poetica: il Simbolismo. Il poeta è un “veggente” che per intuizioni misteriose e improvvise, coglie il senso della realtà, scoprendo collegamenti apparentemente illogici fra oggetti diversi (analogia), associando colori, profumi, suoni (sinestesia), scegliendo le parole per le suggestioni che possono evocare con il loro suono e il loro ritmo (musicalità del verso). Molto importanti nella poesia e nella vita dei decadenti sono le mille sfumature delle percezioni sensoriali, la ricerca delle sensazioni, mentre tendono all’isolamento rispetto alla società, si chiudono nel loro individualismo e perdono fiducia nella ragione.
In Italia il Decadentismo si afferma soprattutto attraverso l’estetismo dell’opera di D’Annunzio e il simbolismo dell’opera di Pascoli.
Le vicende della vita di Giovanni Pascoli e le esperienze dolorose dell’adolescenza e della prima giovinezza sono state determinanti per la formazione del suo mondo interiore, psicologico e poetico. Vicende che sono i fondamenti della sua poetica e visione del mondo, della concezione pessimistica della società, della costante nostalgia della famiglia e dell’infanzia perdute e continuamente ricercate nella memoria e ricostruite nella poesia. Pascoli incarna la tendenza intimistica del Decadentismo in Italia e sembra costituire una antitesi al tipo di intellettuale decadente che si delinea con A ritroso di Huysmas, Il piacere di D’Annunzio, Il ritratto di Dorian Gray di Wilde. Ma questi diversi modi di esprimersi nascono da un fondo comune, dal disagio nei confronti della cultura e della società del proprio tempo.
La raccolta Myricae, dal nome latino delle tamerici, suggerisce l’idea di una poesia ispirata alla vita campestre e ai suoi aspetti più semplici.
“Arano”, “Il lampo”, “Il tuono”, che ritengo straordinarie per la loro forza espressiva e “Nebbia” dai Canti di Castelvecchio, sono poesie in cui il linguaggio poetico abbandona le forme logico-descrittive, introduce il procedimento analogico e l’attenzione agli aspetti fonici del testo, anche se in Canti di Castelvecchio è maggiore l’ampiezza dei testi e il discorso diventa più narrativo.
Immediatamente si entra nel mondo del Pascoli. In un mondo di piccole cose, che emerge anche dalla scelta di una lingua aperta a parole della vita quotidiana, precedentemente estranee alla tradizione poetica, parole evocatrici di impressioni, illuminazioni, emozioni profonde e stupefatte. Tipico procedimento della poesia simbolista, che si nutre di rapporti segreti fra le cose.
Per Pascoli bisogna guardare il mondo con gli occhi di un fanciullo per riscoprire quell’innocenza, quella autenticità che è alla base della creazione poetica. E’ l’intuizione che permette, al “fanciullino” che è dentro il poeta, di cogliere il fondamentale mistero della realtà e di esprimerlo con un linguaggio non razionale, ma fondato sulla analogia e il simbolo.
Pascoli coglie dal paesaggio dati semplici e quotidiani, ma li accosta secondo rapporti nuovi e rappresenta così una realtà apparentemente chiara e, al contrario, misteriosa. Utilizza i versi e gli schemi della tradizione poetica (endecasillabo, quinario, strofa saffica, …) in modo personalissimo, realizzando una operazione profondamente innovativa. Crea una musicalità sommessa e intimistica, tutta affidata alla varietà di echi e risonanze tra le parole, utilizzate per il loro valore fonosimbolico ed evocativo. Il naturalismo del Pascoli è apparente. I paesaggi, le piante, gli animali, le cose da un lato sono rappresentati con estremo realismo e con un linguaggio specialistico di grande precisione, dall’altro sono carichi di significati simbolici e allusivi. In Myricae e nei Canti di Castelvecchio i temi dell’infanzia, della natura, della morte si fondono in modo equilibrato e il linguaggio raggiunge risultati fortemente innovativi.
Per quanto riguarda la lingua e lo stile è da notare quante parole estranee alla tradizione lirica italiana egli introduca: tecnicismi relativi ai mestieri, nomi specifici appartenenti al mondo botanico, espressioni gergali del parlato, grecismi e latinismi. L’uso frequente delle onomatopee che nascono da una concezione della parola poetica che ha valore fonico e musicale, il ritmo frammentato, le frasi brevi, frasi nominali, le coordinate per asindeto.
Una struttura fondamentalmente impressionistica che dà luogo a composizioni ricche di figure retoriche come l’ossimoro, la metominia, la metafora, le allitterazioni e assonanze, le sinestesie.
Ecco “Il lampo” che squarcia le tenebre e mostra per un attimo il cielo e la terra, da fenomeno naturale diventa simbolo di una improvvisa rivelazione, una visione rapida del destino tragico dell’uomo. L’immediatezza e la rapidità caratterizzano anche “Il tuono” dove viene privilegiato l’effetto fonico e onomatopeico attraverso scelte lessicali e ritmiche. In entrambi i testi ricorre il tema della famiglia come rifugio, il nido, simbolo di tranquillità e pace, che viene qui rappresentato dal canto della madre e dal moto della culla e nella precedente dall’immagine della casa bianca bianca. In “Arano” è la scena di vita quotidiana in campagna dove gli uomini sono protagonisti, ma in una atmosfera sospesa. In “Nebbia” domina non tanto l’elemento atmosferico quanto l’invocazione del poeta alla nebbia, perché circoscriva il suo orizzonte visivo al presente escludendo i fantasmi ossessivi di un passato di morte.
Qui di seguito le quattro poesie, cui ho fatto riferimento.
IL LAMPO di Giovanni Pascoli
E cielo e terra si mostrò qual era:
la terra ansante, livida, in sussulto;
il cielo ingombro, tragico, disfatto:
bianca bianca nel tacito tumulto
una casa apparì sparì d'un tratto;
come un occhio, che, largo, esterrefatto,
s'aprì si chiuse, nella notte nera.
IL TUONO di Giovanni Pascoli
E nella notte nera come il nulla,
a un tratto, con fragor d'arduo dirupo
che frana, il tuono rimbombò di schianto:
rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo,
e tacque, e poi rimareggiò rinfranto,
e poi vanì. Soave allora un canto
s'udì di madre, e il moto di una culla.
ARANO di Giovanni Pascoli
Al campo, dove roggio nel filare
qualche pampano brilla, e dalle fratte
sembra la nebbia mattinal fumare,
arano: a lente grida, uno le lente
vacche spinge; altri semina; un ribatte
le porche con sua marra paziente;
ché il passero saputo in cor già gode,
e il tutto spia dai rami irti del moro;
e il pettirosso: nelle siepi s'ode
il suo sottil tintinno come d'oro.
NEBBIA di Giovanni Pascoli
Nascondi le cose lontane,
tu nebbia impalpabile e scialba,
tu fumo che ancora rampolli,
su l'alba,
da' lampi notturni e da' crolli
d'aeree frane!
Nascondi le cose lontane,
nascondimi quello ch'è morto!
Ch'io veda soltanto la siepe
dell'orto,
la mura ch'ha piene le crepe
di valeriane.
Nascondi le cose lontane:
le cose son ebbre di pianto!
Ch'io veda i due peschi, i due meli,
soltanto,
che danno i soavi lor mieli
pel nero mio pane.
Nascondi le cose lontane
che vogliono ch'ami e che vada!
Ch'io veda là solo quel bianco
di strada,
che un giorno ho da fare tra stanco
don don di campane...
Nascondi le cose lontane,
nascondile, involale al volo
del cuore! Ch'io veda il cipresso
là, solo,
qui, solo quest'orto, cui presso
sonnecchia il mio cane.