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POESIA DEL NOVECENTO ITALIANO - Pascoli - "Breus" - come l'avrei scritta io
- COME L'AVREI SCRITTA IO
A cura di Salvatore Armando Santoro)
- Breus (di Giovanni Pascoli)
- I
- Viveva con sua madre in Cornovaglia:
- un dì trasecolò nella boscaglia.
- Nella boscaglia un dì, tra cerro e cerro
- vide passare un uomo tutto ferro.
- Morvàn pensò che fosse San Michele:
- s'inginocchiò: "Signore San Michele,
- non mi far male, per l'amor di Dio!".
- "Né mal fo io, né San Michel son io.
- No: San Michele non poss'io chiamarmi:
- cavalier, si: son cavaliere d'armi".
- "Un Cavaliere? Ma che cosa è mai
- guardami o figlio e che cos'è saprai"
- "Che è codesto lungo legno greve?"
- "La lancia: ha sete, e dove giunge, beve".
- "Cos'é codesta con la qual sei cinto?".
- "Spada, se hai vinto; croce se sei vinto".
- "Di che vesti? La veste è pesa e dura".
- "E' ferro. Figlio, questa è l'armatura".
- "E tu nascesti già così coperto?".
- Rise e rispose il cavalier:; "No, certo".
- "E chi la pose, dunque, indosso a te?".
- "Chi può". "Chi può?". "Ma, caro figlio, il re!".
- II
- Il fanciullo tornò dalla sua mamma,
- e le saltò sulle ginocchia: "Mamma,
- mammina (cinguettò), tu non lo sai!
- ho visto quello che non vidi mai!
- un uomo bello più del San Michele
- ch'è in chiesa, tra il chiaror delle candele!".
- "Non c'è uomo più bello , figlio mio,
- più bello, no, d'un angelo di Dio".
- "Ma sì, ce n'è, mammina, se permetti,
- ce n'è mammina, cavalier son detti.
- E io, mammina, voglio andar con loro,
- e aver veste di ferro e sproni d'oro".
- La madre a terra cadde come morta,
- che già Morvan usciva dalla porta;
- Morvan usciva e le volgea le spalle,
- ed entrò difilato nelle stalle;
- nelle stalle trovò solo un ronzino:
- lo sciolse, vi montò sopra: in cammino.
- Egli partì, ne salutò persona
- eccolo fuori, ecco che batte e sprona:
- eccolo già lontano dal castello,
- dietro quell'uomo, ch'era così bello.
- III
- Dopo dieci anni, dieci tutti interi,
- Breus, il cavalier de cavalieri,
- sostò pensoso avanti a quel castello.
- Era fradicio e rotto il ponticello.
- Entrò pensoso nella corte antica:
- c'era tant'erba, c'era tanta ortica.
- Il rovo vi crescea come una siepe,
- e la muraglia piena era di crepe.
- L'edera aveva la muraglia invasa:
- l'erba copria la soglia della casa.
- E l'uscio era imporrito e tristo a mo'
- di tomba. Egli picchiò, picchiò, picchiò..
- Ecco alfine una donna, ecco una donna
- antica e cieca, che gli aprì. "Voi, nonna,
- mi potete albergar per questa notte?".
- "Albergar vi si può per questa notte,
- albergar vi si può di tutto cuore,
- ma l'albergo non è forse il migliore.
- Ché questa casa è tutta in abbandono
- da che il figlio partì, dieci anni or sono".
- Era discesa una donzella in tanto,
- che appena lo guardò, proruppe in pianto.
- IV
- "Perché piangete, buona damigella?
- perché piangete, cara damigella?".
- "Io voglio dirvi, sire cavaliere,
- io voglio dirvi, che mi fa dolere.
- E' un mio fratello che dieci anni fa
- (ora sarebbe della vostra età),
- ci abbandonò per farsi cavaliere.
- Io piango appena vedo un cavaliere.
- Se vedo un cavalier presso il castello,
- piango pensando al mio dolce fratello".
- "Non avete la madre, o damigella?
- non un altro fratello? una sorella?".
- "Nessuno... almeno ch'io li veda in viso:
- son, fratelli e sorelle, in paradiso.
- La mia madre morì dal dispiacere
- quand'e' partì per farsi cavaliere.
- Ecco il suo letto presso il limitare,
- ecco il suo seggio presso il focolare.
- La sua crocetta porto sopra me.
- pel mio povero cuore altro non c'è".
- V
- Mise un singhiozzo il cavalier d'un tratto.
- Ella il pallido mostrò viso disfatto
- e gli occhi sollevò con meraviglia
- lucenti per il pianto sulle ciglia.
- "Iddio la mamma ancora a voi l'ha presa
- c'ora piangete, che m'avete intesa?".
- "Ancora a me la mamma prese Iddio;
- ma chi gli disse: Prendila! fui io".
- "Voi? Ma chi siete? Qual'è il vostro nome?".
- "Morvan il nome, Breus il soprannome.
- O sorellina, io son pien di gloria:
- ogni giorno ho contata una vittoria:
- ma se potevo indovinar quel giorno,
- che non l'avrei veduta al mio ritorno,
- o sorellina, non sarei partito!
- o sorellina, non sarei fuggito!
- Oh! per vederla qui sul limitare,
- per rivederla presso il focolare,
- per abbracciare qui con te pur lei
- le mie vittorie tutte le darei:
- sarei felice, e per starle vicino,
- avrei strigliato a vita il mio ronzino!"
-
TESTO ORGINALE
- Breus (di Giovanni Pascoli)
- I
- Viveva con sua madre in Cornovaglia:
- un dì trasecolò nella boscaglia.
- Nella boscaglia un dì, tra cerro e cerro
- vide passare un uomo tutto ferro.
- Morvàn pensò che fosse San Michele:
- s'inginocchiò: "Signore San Michele,
- non mi far male, per l'amor di Dio!".
- "Né mal fo io, né San Michel son io.
- No: San Michele non poss'io chiamarmi:
- cavalier, si: son cavaliere d'armi".
- "Un Cavaliere? Ma che cosa è mai
- guardami o figlio e che cos'è saprai"
- "Che è codesto lungo legno greve?"
- "La lancia: ha sete, e dove giunge, beve".
- "Che è codesta di cui tu sei cinto?".
- "Spada, se hai vinto; croce se sei vinto".
- "Di che vesti? La veste è pesa e dura".
- "E' ferro. Figlio, questa è l'armatura".
- "E tu nascesti già così coperto?".
- Rise e rispose il cavalier:; "No, certo".
- "E chi la pose, dunque, indosso a te?".
- "Chi può". "Chi può?". "Ma, caro figlio, il re!".
- II
- Il fanciullo tornò dalla sua mamma,
- e le saltò sulle ginocchia: "Mamma,
- mammina (cinguettò), tu non lo sai!
- ho visto quello che non vidi mai!
- un uomo bello più del San Michele
- ch'è in chiesa, tra il chiaror delle candele!".
- "Non c'è uomo più bello , figlio mio,
- più bello, no, d'un angelo di Dio".
- "Ma sì, ce n'è, mammina, se permetti,
- ce n'è mammina, cavalier son detti.
- E io, mammina, voglio andar con loro,
- e aver veste di ferro e sproni d'oro".
- La madre a terra cadde come morta,
- che già Morvan usciva dalla porta;
- Morvan usciva e le volgea le spalle,
- ed entrò difilato nelle stalle;
- nelle stalle trovò sol un ronzino:
- lo sciolse, vi montò sopra: in cammino.
- Egli partì, ne salutò persona
- eccolo fuori, ecco che batte e sprona:
- eccolo già lontano dal castello,
- dietro quell'uomo, ch'era così bello.
- III
- Dopo dieci anni, dieci tutti interi,
- Breus, il cavalier de cavalieri,
- sostò pensoso avanti a quel castello.
- Era fradicio e rotto il ponticello.
- Entrò pensoso nella corte antica:
- c'era tant'erba, c'era tanta ortica.
- Il rovo vi crescea come una siepe,
- e la muraglia piena era di crepe.
- L'edera aveva la muraglia invasa:
- l'erba copria la soglia della casa.
- E l'uscio era imporrito e tristo a mo'
- di tomba. Egli picchiò, picchiò, picchiò..
- Ecco alfine una donna, ecco una donna
- antica e cieca, che gli aprì. "Voi, nonna,
- mi potete albergar per questa notte?".
- "Albergar vi si può per questa notte,
- albergar vi si può di tutto cuore,
- ma l'albergo non è forse il migliore.
- Ché questa casa è tutta in abbandono
- da che il figlio partì, dieci anni or sono".
- Era discesa una donzella in tanto,
- che appena lo guardò, ruppe in pianto.
- IV
- "Perché piangete, buona damigella?
- perché piangete, cara damigella?".
- "Io voglio dirvi, sire cavaliere,
- io voglio dirvi, che mi fa dolere.
- E' un mio fratello che dieci anni fa
- (ora sarebbe della vostra età),
- ci abbandonò per farsi cavaliere.
- Io piango appena vedo un cavaliere.
- Se vedo un cavalier presso il castello,
- piango pensando al mio dolce fratello".
- "Non avete la madre, o damigella?
- non un altro fratello? una sorella?".
- "Nessuno... almeno ch'io li veda in viso:
- son, fratelli e sorelle, in paradiso.
- La mia madre morì dal dispiacere
- quand'e' partì per farsi cavaliere.
- Ecco il suo letto presso il limitare,
- ecco il suo seggio presso il focolare.
- La sua crocetta porto sopra me.
- pel mio povero cuore altro non c'è".
- V
- Mise un singhiozzo il cavalier d'un tratto.
- Ella il pallido alzò viso disfatto.
- La damigella alzò con meraviglia
- gli occhi che aveano il pianto sulle ciglia.
- "Iddio la mamma ancora a voi l'ha presa
- c'ora piangete, che m'avete intesa?".
- "Ancora a me la mamma prese Iddio;
- ma chi gli disse: Prendila! fui io".
- "Voi? Ma chi siete? Qual'è il vostro nome?".
- "Morvan il nome, Breus il soprannome.
- O sorellina, io son pien di gloria:
- ogni giorno ho contata una vittoria:
- ma se potevo indovinar quel giorno,
- che non l'avrei veduta al mio ritorno,
- o sorellina, non sarei partito!
- o sorellina, non sarei fuggito!
- Oh! per vederla qui sul limitare,
- per rivederla presso il focolare,
- per abbracciare qui con te pur lei
- le mie vittorie tutte le darei:
- sarei felice, pur ch'a lei vicino,
- di strigliar tuttavia quel mio ronzino!
Data di creazione: 01/11/2012 @ 14:41
Ultima modifica: 01/11/2012 @ 15:00
Categoria: POESIA DEL NOVECENTO ITALIANO
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