Siamo arrivati al 3° Capitolo del romanzo di Gino Rannesi. In precedenza abbiamo pubblicato:
http://urladalsilenzio.wordpress.com/2011/09/18/b/
http://urladalsilenzio.wordpress.com/2011/10/14/un-bambino-cresciuto-troppo-in-fretta-di-gino-rannesi-2%c2%b0-capitolo/
http://urladalsilenzio.wordpress.com/2011/11/01/un-bambino-cresciuto-troppo-in-fretta-di-gino-rannesi-proseguo-2%c2%b0-capitolo/
TERZO CAPITOLO
La vita del ragazzo vivace ma buono sembrava scorrere lentamente.
Siamo intorno al 1958, la città di Montezuma a quel tempo a causa della delinquenza spicciola stava attraversando un periodo critico. Scippatori, ladri di macchine, topi di appartamento, la facevano da padroni. Di questo stato di cose il ragazzo vivace non aveva nessuna contezza. Sino a quando qualcuno non gli ebbe a rubare il vespino. Era un giorno di sabato, uscito per fare un giro nel suo quartiere con il suo vespino rosso fiammante, posteggiò davanti al chiostro. Consumò una limonata, dopodiché pensò di fare un altro giro per il quartiere. Ma si girò intorno, forse non ricordava dove aveva posteggiato il vespino?
Il ragazzo vivace ben presto si rese conto del fatto che qualcuno gli aveva rubato il vespino. Presa coscienza del fatto che, sì, qualcuno gli aveva rubato il vespino, andò su tutte le furie, prese il motorino del bonaccione e con questo iniziò a girare tutti i quartieri della città. Era avvilito, sentì un bruciore al petto. Era la rabbia. Girando per i quartieri come un ossesso si imbatté tra gli altri anche tra i ragazzi terribili. Questi, lo chiamavano a gran voce.
Turi: – Oooh!! Ragazzo, vieni qua. Il ragazzo si avvicinò e rivolgendosi a Turi con il petto che gli bruciava per la rabbia gli disse: – Qualche cornuto mi ha rubato il vespino.
Turi:-Hai forse fatto la denuncia?
Il ragazzo: -No, no, assolutamente no.
Riprende Turi:- Hai fatto bene, stai tranquillo che adesso il tuo vespino salta fuori, ci pensiamo noi, anche se non ti sei più fatto vedere noi non dimentichiamo mai gli amici. Vai a casa, stasera stessa riavrai il tuo motorino. Poi soggiunse: Oh! Non dire nulla a tuo padre, ok?
Rientrato a casa non fece parola con nessuno del furto subito. Turi gli aveva detto di non dirlo neanche a suo padre.
Il ragazzo non riusciva a stare fermo, come un ossesso faceva avanti e indietro. L’unica cosa che in quel momento desiderava fortemente era quello di avere tra le mani la faccia di quel cornuto che gli aveva rubato il vespino per potergliela spaccare.
Nel tardo pomeriggio qualcuno suonò alla porta, rispose il bonaccione, e qualcuno gli disse: - Di’ a tuo fratello maggiore che c’è Angelo che lo aspetta nei pressi della piazzetta.
Il bonaccione riferì al ragazzo quanto gli era stato detto. Questo si precipitò fuori, e di corsa raggiunse la piazzetta sita a poche centinaia di metri.
Al centro di questa vide Angelo seduto a cavalcioni sul suo vespino.
I due si abbracciarono, Angelo consegnò il vespino al ragazzo e con fare spavaldo gli disse: -AAAH! Neanche un graffio, hai visto?
Il ragazzo felice per il vespino ritrovato riabbracciò Angelo. Poi soggiunse: - Scusami se quella mattina non sono venuto all’appuntamento.
Angelo dal canto suo le gli diede una pacca sulla spalla e sorridendo gli disse:- Adesso il vespino ce l’hai, se vuoi vediamoci domani mattina al bar alle ore nove, ho un buon lavoro per le mani e vorrei che partecipassi anche tu. Una cosa facile, facile, becchiamo un paio di milioni a testa. Ti aspetto.
Il ragazzo vivace ma ancora buono tornò a casa felice, il suo vespino era salvo, i suoi amici, gli stessi che lui non avrebbe mai più dovuto frequentare, gli erano stati di grande aiuto.
Quella sera il ragazzo decise di andare a dormire prima del solito, si sentiva stanco, e tuttavia però non riuscì a prendere sonno. Il ragazzo, che ormai di anni ne aveva 17, sentiva un formicolio allo stomaco. Il fatto che qualcuno gli avesse rubato il vespino proprio nel suo quartiere lo innervosiva.
E poi c’era una decisione da prendere. La mattina seguente i ragazzi terribili lo avrebbero aspettato, che fare?
Il ragazzo è combattuto, pensa alle parole del padre, pensa all’ultima frase di Angelo: -Un lavoro facile, facile, becchiamo un paio di milioni a testa.
Il ragazzo vivace ma ancora buono prese la sua decisione, decisione quella che si rileverà essere stata scellerata. Sarebbe andato all’appuntamento con Angelo. Non poteva deluderlo. Angelo gli aveva ritrovato il vespino, era un vero amico.
La mattina seguente alle sei la madre lo svegliò: -Gioia la colazione è in cucina fai presto tuo padre e già sceso nel garage. Il padre tutte le mattine prima di andare al mercato preparava tutto l’occorrente.
Il ragazzo che quella mattina aveva preso la decisione di fare dell’altro rispose che: - Mamma, stamattina sto poco bene, di’ al papà che porti con se il bonaccione.
Nulla di strano, può capitare a tutti di stare male, e poi il ragazzo era sempre andato con il padre ben volentieri.
La madre gli si avvicinò e gli chiese:c-Che ti senti, hai forse un po’ di febbre?
Gli toccò la fronte, niente febbre. Ma sì, un giorno di riposo non potrà che fargli bene. Al mercato con il padre andrà il bonaccione.
Otto del mattino, il ragazzo si alzò dal letto e con fare frenetico cominciò a vestirsi. Scarpe da tennis, Jeans attillati e una maglietta nera. Mentre era in procinto di uscire la madre si accorse che il figlio stava andando via di soppiatto: -Dove vai?Non stavi male? e poi non hai neanche fatto colazione.
Il ragazzo si limitò a rispondere:-Stamattina la colazione la farò al bar.
Tirò fuori il vespino dal garage e si avviò verso il punto che con molte probabilità sarebbe stato quello del non ritorno. Poco dopo arrivò davanti al bar frequentato dai ragazzi terribili. Entrò, dei ragazzi terribili non c’era ancora nessuno. Si sedette ad’un tavolo e ordinò una granita. Era il mese di luglio dell’anno 1959. Nell’attesa che arrivassero i suoi amici, per la prima volta nella sua vita prese in mano un giornale (La Gazzetta) e cominciò a sfogliarlo. Inizialmente lo trovò noioso, dopo aver sfogliato un bel po’ di pagine arrivò in quelli che riportavano la cronaca di Montezuma. L’occhio del ragazzo cadde su un articolo dove a caratteri cubitali vi era scritto:
<< 20° morto ammazzato dall’inizio dell’anno nel Montezumese. Gli inquirenti ritengono che anche questo omicidio possa essere inquadrato nella faida che vede contrapposti i clan dei Tizi a quelli dei Caio.>> Mentre il ragazzo con stupore continuava a leggere quell’articolo, entrò Angelo, il ragazzo lo vide, si alzò e gli andò incontro. I due si salutarono con una stretta di mano e con un forte abbraccio. Angelo chiese al ragazzo: -Da quanto tempo stai qui ad aspettare?
Il ragazzo rispose: - Una mezzoretta. Ho consumato una granita e poi ho letto il giornale.
E a proposito del giornale che aveva sfogliato poco prima il ragazzo chiese lumi ad Angelo su quello che aveva letto con riferimento agli omicidi, altresì che cosa fossero le faide a cui il giornale faceva riferimento.
Angelo con orgoglio gli rispose: -Queste cose a noi non interessano, noi siamo dei cani sciolti. A noi interessa solo guadagnarci da vivere. Noi siamo dei ladri e basta.A proposito sei pronto per il lavoro? Tra poco ed esattamente alle dieci circa, qualcuno al viale Ventura presso lo sportello della Banca popolare andrà a ritirare venti milioni di lire.
Turi, Peppino e Melo si trovano già nei paraggi.
Il ragazzo rispose: -Si, sono pronto, ma dimmi, che cosa devo fare?
Angelo: -Per questa volta nulla di particolare, il lavoro lo farà Turi, Peppino e Melo. Tu starai insieme a me a bordo del mio vespino, e solo nel caso in cui dovesse sorgere qualche problema interverremmo in aiuto dei compagni. Il ragazzo vivace ma buono posteggiò il proprio vespino nei pressi del bar, all’interno di un portone che Angelo gli indicò.
I due si allontanarono a bordo del vespino di Angelo. Il ragazzo saggiò la bravura di Angelo nel guidare quel piccolo bolide, ad ogni brusca accelerata il vespino s’impennava, era una vera goduria. Il ragazzo restò affascinato dalla potenza che quel piccolo motore riusciva a scaricare.
Mancavano pochi minuti alle 10. I due, arrivati sul posto, si fermarono proprio a ridosso della banca. Angelo era tranquillo. Il ragazzo invece no. Angelo gli aveva detto che si trattava di un lavoro facile, facile, e che loro sarebbero intervenuti solo in caso di necessità. Ma di che cosa si stesse per fare il ragazzo non aveva ancora nessuna contezza. Angelo parlava poco. E quando lo faceva non era mai del tutto chiaro. Al ragazzo non restò che aspettare.
Angelo teneva gli occhi puntati sull’entrata della banca. D’un tratto Angelo diede un colpetto alla coscia del ragazzo. Ci siamo, una macchina di grossa cilindrata si fermò davanti alla banca. Da questa scese un uomo di media statura. L’uomo entrò in banca. Subito dopo entrò in scena Melo.
Questo sbucò da un vicolo che costeggiava la banca. Aria tranquilla, anch’egli vestito elegantemente entrò in banca. Poco lontano apparvero Peppino e Turi. Il primo era alla guida del vespino, Turi sedeva dietro. L’attesa fu snervante. Ma ecco che finalmente il tizio uscì da quel cazzo di banca. Subito dietro uscì anche Melo, il quale con pochi segni fatti in direzione di Peppino e Turi diede la conferma che il tizio effettivamente aveva ritirato i soldi. Inoltre segnalò in quale tasca li aveva messi. Il tizio a bordo della propria macchina di grossa cilindrata si avviò. Fu subito tallonato da Peppino e Turi, i quali attendevano quello che per loro sarebbe stato il momento più propizio per entrare in azione. A debita distanza li seguirono Angelo con il ragazzo e Melo.
Quest’ultimo viaggiava da solo a bordo del proprio vespino.
Il tizio si fermò ad un semaforo, davanti a questo si fermò anche un autobus. Ecco, ecco, era il momento ideale: nel caso in cui al tizio fosse venuto in mente di pigiare sull’acceleratore non avrebbe potuto farlo, l’autobus l’avrebbe bloccato, inoltre questo copriva la visuale.
Peppino affiancò l’auto del tizio, Turi come una furia attraverso il finestrino aperto si fiondò per metà del suo corpo all’interno dell’auto. Immediatamente tirando via le chiavi dal cruscotto spense il motore dell’auto. Dopodiché sferrò una micidiale gomitata in faccia al mal capitato, gli infilò la mano nella tasca interna della giacca e da questa tirò fuori una grossa mazzetta di denaro.
Facile, facile, così come aveva detto Angelo.
Ma non fu proprio così. Una volta in possesso del denaro Turi saltò in sella al vespino guidato da Peppino. Non fecero però in tempo ad allontanarsi quando il mal capitato come una furia uscì fuori dall’abitacolo, Peppino diede subito gas ma non riuscì ad evitare che il tizio riuscisse ad acchiappare l’amico Turi per la maglietta. A causa della trattenuta e della potenza di quel motore che tante volte li aveva tirati fuori dai guai il vespino si impenno, l’impennata fu così alta che i due finirono scaraventati a terra. Si scatenò l’inferno. Il semaforo si fece verde, l’autobus che sino a quel momento aveva coperto la visuale partì. Peppino e Turi si rialzarono rapidamente. Peppino si preoccupò di rimettere in sesto il vespino. Turi si scagliò contro il tizio che coraggiosamente aveva reagito facendoli cadere. Lo prese a calci e a pugni, nel contempo lo apostrofò con un sacco di parolacce: -Figlio di buttana, cornuto, mortu si.
Peppino preoccupato di far ripartire il vespino, Turi impegnato a dare una lezione al tizio che a squarcia gola gridava aiuto al ladro, non si accorsero che tre vigili urbani si stavano avvicinando.
Loro no, ma Angelo sì.
Angelo alla guida del suo vespino uscì allo scoperto, gridò ai compagni: -I vaddia, i vaddia. Buon per loro che a quell’epoca le guardie municipali non erano armate. Peppino dopo vari tentativi riuscì a mettere in moto il vespino, e mentre Angelo attirò l’attenzione su di se Turi saltò sul vespino e insieme a Peppino si dileguarono.
Tutto finito?
Ma quando mai. Questa per il ragazzo vivace ma buono sarebbe stata una giornata “memorabile”. Mentre il derubato continuava a rompere i coglioni gridando “Mi hanno derubato, aiuto, aiuto”, adesso le attenzioni dei vigili urbani erano tutte dirette nei confronti di Angelo e del ragazzo che uscendo allo scoperto per avvisare i compagni dell’imminente pericolo avevano gridato I vaddia, i vaddia. Inoltre Angelo per attirare l’attenzione su di sè aveva agitato più volte la mano mostrando loro un bel paio di corna.
Angelo zichizacando tra le macchine riuscì a prendere un certo regime tra se e i vigili. Ma evidentemente per qualche motivo quella doveva essere una giornata storta. Mentre Peppino e Turi avevano già preso il largo, Angelo e il ragazzo erano in qualche modo riusciti a divincolarsi, ma ecco che accadde l’imprevedibile: il ragazzo girandosi all’indietro per controllare i movimenti delle guardie ormai messi fuori causa, si accorse che le stesse erano riusciti a bloccare Melo che viaggiava da solo a bordo del proprio vespino.
Il ragazzo gridò all’orecchio di Angelo: Hanno acchiappato Melo, hanno acchiappato Melo!
Non l’avessero mai fatto, Angelo frenò di colpo, invertì la marcia e puntò verso le tre guardie che tenevano bloccato Melo. Giunti in prossimità di questi gridò: -Adesso avete rotto la minghia!
Rapidamente mise il vespino sul cavalletto e si scagliò contro le guardie. Il ragazzo vivace fece altrettanto. Le guardie municipali, che non erano le stesse che il ragazzo aveva conosciuto durante gli inseguimenti che sovente ingaggiava nelle giornate di domenica, reagirono. Questi non erano nè lenti nè ciccioni. Le forze in campo erano pari, tre guardie e tre “presunti” ladri. Botte da orbi.
All’improvviso però qualcosa scosse i “presunti” ladri, le sirene della polizia, i ragazzi erano ben consci del fatto che quelli che stavano per arrivare non erano mica bau, bau, micio, micio, altro che guardie municipali. L’antirapina, armati e bene addestrati, inoltre intesi con l’appellativo che era tutto un programma. I Rapaci. Angelo rivolgendosi ai compagni grido:
-Scappiamo, scappiamo.
Bella scoperta, penserà qualcuno, ma quel Scappiamo, scappiamo, doveva essere inteso molto più semplicemente come un Siamo perduti, si salvi chi può.
I tre riuscirono a divincolarsi. Fuggirono a piedi in direzioni diverse, dovettero però abbandonare i loro vespini, non c’era neanche il tempo di provare a montare su di essi. I Rapaci si trovavano ormai a qualche centinaio di metri, quelli sparavano. Sul vespino sarebbero stati un facile bersaglio. Il ragazzo vivace ma “buono” si ritrovò a correre da solo tra i vicoli del centro storico di Montezuma con alle calcagne una delle guardie municipali che lo inseguiva. La corsa era il suo forte. E se ai tempi delle scuole medie quel bastardo di un assessore non si fosse messo di mezzo, avrebbe anche potuto vincere una gara ufficiale di maratona. Adesso però doveva scrollarsi di dosso quella guardia municipale che continuava ad inseguirlo.
Questa sembrava ne avesse fatto una questione personale, mentre lo rincorreva gli gridò:- Fermati, fermati, cunnutu, nicu, nicu.
Il ragazzo si limitò a rispondere:-Ma va fanculu!
Poco dopo il ragazzo vivace riuscì a seminarlo.
Guardandosi in giro si rese conto del fatto che la pescheria dove suo padre anche quel giorno stava lavorando era vicina. Ancora una leggera corsettina e si sarebbe trovato là, nel posto di frutta che sino al giorno prima lo aveva visto lavorare.
Poco dopo infatti si presentò davanti al posto di lavoro e senza dire nulla scansò il bonaccione dalla cassa e ne prese posto.
Ore 10.30. Dall’inizio del fattaccio era trascorsa solo mezzora, ma al ragazzo pareva un’eternità.
Era lì, sul posto di lavoro, ma assente, nella sua testa c’era tanta confusione. Pensava a tutto quello che era successo poco prima, e poi chissà se anche gli altri erano riusciti a scappare?
Alfio di tanto in tanto lo osservò, qualche domanda da fare al figlio ce l’aveva, ma preferì rimandare.
Finita la giornata lavorativa i tre fecero ritorno a casa. Il ragazzo fremeva, doveva recarsi al bar, solo così avrebbe conosciuto la sorte dei suoi compagni, e poi c’era il vespino da recuperare che aveva lasciato all’interno di un portone nei pressi del bar.
Ore 13, la famiglia si ritrovò a tavola per il pranzo. Pasta al forno e polpette con la salsa. Il ragazzo non aveva nessuna voglia di mangiare, doveva uscire.
Dopo aver assaggiato qualcosa rivolgendosi alla madre disse:- Mamma esco un po’ vado dalla zia -Dalla zia?-Scommetto che ci sei stato anche stamattina vero?
-Scordati la biondina, scordatela, è tua cugina!
Ne seguì una risata generale, risero tutti, infatti in famiglia era risaputo il fatto che il ragazzo avesse un debole per la biondina.
Poco male, il ragazzo si alzò, uscì dalla sala da pranzo e chiamò a se il bonaccione.
A questo gli chiese un favore:- Accompagnami con il tuo motorino in un posto qui vicino.
Detto fatto, il bonaccione lo accompagnò laddove il fratello maggiore gli aveva indicato. Nei pressi del bar. :-Ok, lasciami qui, se qualcuno chiede di me, sono dalla zia chiaro?
Il bonaccione annuì e andò via.
Il ragazzo si avviò, non vedeva l’ora di varcare la porta del bar, mancavano pochi metri, il cuore gli batteva forte, immaginò la scena, gli amici in festa nel vederlo salvo… Incredibilmente fu proprio così. Il ragazzo fece il suo ingresso nel bar, i suoi amici che lo davano per spacciato erano tutti lì, seduti attorno ad un tavolino, non mancava nessuno. Questi non appena lo videro entrare sano e salvo per la gioia gridarono: E vai e vai. Buttarono all’aria il tavolino che avevano davanti, dopodiché corsero tutti e quattro ad abbracciare il vivace. Gridarono ancora più forte: Grande, grande. La gioia per i ragazzi terribili era tanta al ragazzo si erano affezionati.
Il ragazzo felice e finalmente rilassato raccontò del come era riuscito a scappare, e così fecero anche i suoi amici. Le belle notizie per il ragazzo non erano ancora finite.
Angelo prese la parola e rivolgendosi al ragazzo vivace ma “buono” volle dare delle delucidazioni sul bilancio di quella che era stata una giornata tremenda.
Angelo: -Allora, il punto della situazione è il seguente:, abbiamo perso due vespini, ma chi se ne frega, ne ruberemo degli altri. Nonostante gli intoppi tutti e cinque siamo riusciti a farla franca e, udite, udite, il bottino è stato di 22 milioni di lire.
Che dire, i ragazzi terribili quel giorno erano stati molto fortunati. Ma i guai, quelli grossi, erano dietro l’angolo. Angelo si apprestò a fare le parti, domandò ai compagni presenti:
-22:7 quanto fa? Rispose subito il vivace: -Beh, Credo faccia tre milioni e cento a testa, più pochi spiccioli. Ma come per 7, non siamo in 5???
FINE DEL TERZO CAPITOLO
Giovanni Zito risponde ai commenti
Tags: Alessandra Lucini, Alina Dumitriu, Antonella Esposito, Carinola, Carla Francesconi, Commenti, Giovanni Zito, la Gazza ladra, Rosanna Rossi
In questo post pubblichiamo le risposte di Giovanni Zito (attualmene detenuto a Carinola) ai commenti fatti dei lettori a due suoi brani pubblicati nei primi di agosto (vai ai link.. http://urladalsilenzio.wordpress.com/2011/08/05/il-mio-nuovo-alloggio-di-giovanni-zito/ e poi.. http://urladalsilenzio.wordpress.com/2011/08/13/si-apre-una-porta-di-giovanni-zito/).
——-
6 agosto
A PINA ZITO- ciao Pina.. non ti piace dove vivo. Guarda che l’ho scelto con cura e precisione questo albergo, proprio per il suo progetto unico. Comunque Pina, sto bene di salute, questo è quello che conta. Ti ricordo che per pensare ci vuole il pensiero ihihihih. Ti voglio bene Pina. Grazie delle tue parole. Gianni
—–
AD ALESSANDRA LUCINI- ciao Sandra, tu non ti arrendi, peggio di me. Mi dispiace per te Sandra, non ci sono posti liberi. Dovrai aspettare per lungo tempo, hahahaha. Il ristorante è pessimo come tutti, o quasi tutti gli istituti di pena. Il rapporto qualità prezzo può essere conveniente, a seconda di chi capita… Al momento vi sono le mosche come insetti molto fastidiosi, specialmente quando cucino. Stai tranquilla.. con affetto.. Gianni.
—–
A LA GAZZA LADRA- la tv non è ad orari stabiliti. Su questo non ci sono regolamenti, ma ci sono alcuni istituti che adoperano gli orari della tv. Non farti assalire dalla tristezza anche tu, se no io come faccio. C’è un vecchio detto che dice…”il carcere non si augura neanche ai cani”. Ma io sono un sanbernardo con un pò di pitbull dentro. Grazie del tuo commento. Un abbraccio. Gianni.
—–
A CARLA FRANCESCONI- mia carissima amica, leggo le tue parole con impegno. Se questi signori vanno in Terra Santa, non credo che siano più sereni di me. Se loro sono nababbi buon per loro, visto che speculano e rubano su cittadini. Un giorno dovranno misurare tutto il dolore delle loro scelte. Mentre io ci sarò ancora per molto tempo, e riderò dal cuore. Giovanni.
—–
A ROSANNA ROSSI- piano piano gli amici si fanno avanti. Benvenuta amica mia, e grazie del tuo commento. Ne avrai di cose da leggere sul nostro sito. Sono tutte vere le parole che scriviamo. Solo che nessuno di questi signori politici lo mette bianco su nero. Così siamo tutti felici e contenti. L’impegno sta cambiando ognuno di noi, Rosanna credimi. Ti abbraccio. Gianni.
————-
9 agosto
AD ANTONELLA ESPOSITO- gentilissima amica, come vedi, presto o tardi, la mia risposta arriva. Le tue parole mi colpiscono sempre, nella semplicità assoluta. Io aspetto questo mondo migliore, anche perchè Dio nella sua misericordi dovrà pur guardare verso di me. Ma quello che conta al momento, è che tutti voi sappiate la verità di come vive un ergastolano ostativo. Questo calderone che bolle costantemente ha bisogno della vostra forza. Sono sempre presente. Graize Anontella. Gianni.
—–
A LAURA RUBINI- amica mia, non è certamente colpa di Berlusconi se esistono questi lager. Bisognerebbe guardare molto indietro, anche se tutti sanno come si sopravvive in questi loculi, partendo dal Magistrato di Sorveglianza in poi. Sinceramente io, personalemente, spererei che questi signori politici governassero il paese con dignità. Io devo affrontare il mio passato con il futuro che non avrò mai? Ma in compenso ci siete voi, mi basta. Un abbraccio. Gianni