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HANNAH ARENDT E I PRINCIPI DELLA
BIOETICA
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Un trattato di storia, di filosofia, di medicina o di altre scienze, così come di genere letterario, non sale agli onori della cronaca se scritto da un autore di poco conto: di lui e della sua opera, nessuno parla: lo si ignora.
Di Hannah Arendt, riscoperta in tempi che possiamo definire recenti, molto si è detto e scritto, sia per considerare le sue opere come rivoluzionarie, rispetto ai tempi, sia per denigrarle e considerarle solo come il frutto di riflessioni scaturite da un’amara, seppur ricca esperienza personale, senza nessun vero fondamento filosofico atto a dimostrare una qualsivoglia teoria: uno su tutti Habermass.
Ma la Arendt non intendeva fondare né rifondare alcunché: tutte le sue opere si distinguono per l’analisi accurata dei fatti, quando si tratta di questi, dell’agire umano spogliato da ogni forma di speculazione puramente filosofica e per la quale e solo in virtù di essa è possibile parlare di persona e di diritti, primo fra tutti, la libertà.
La Arendt, oggi considerata come l’ultima grande esponente della filosofia politica del Novecento, non è sfuggita, forse proprio per la profondità dei suoi studi, al dualismo che vede contrapposti sentimento e prassi che traspare in molte delle sue opere ma che, proprio per questo, consentono di evidenziare il collegamento tra i principi da lei analizzati e la ormai indiscussa teoria del ponte, di cui parlava Potter.
Se è vero che per la Arendt l’umanità è alle soglie della propria autodistruzione per il pericolo sempre incombente di involuzioni totalitarie, è anche vero, come sosteneva Potter, che “il futuro dell’uomo…non è qualcosa che può essere dato per scontato” 1, questo perché nell’idea di libertà che alberga nella mente umana, è compresa quella di dominio indiscusso dell’uomo sull’uomo e su tutto quanto lo circonda, quasi ne fosse il proprietario.
Non importa se l’ecosistema viene stravolto e se le conseguenze di questa perenne e continua spogliazione della natura causa, ed ha causato, i mutamenti che sono sotto gli occhi di tutti, così come è lecito programmare e pianificare la distruzione di milioni di persone o privarle della libertà, di una patria e renderle degli apolidi che vagano per il mondo come l’ebreo errante.
L’esercizio della libertà dovrebbe essere ispirato in primo luogo ai principi di eticità in ogni qualsivoglia azione ma prevale sempre un altro principio che è quello dell’utile, del piacere, dell’autonomia individuale, libera perciò, di calpestare l’umanità e perciò stesso, la dignità della persona.
Continuamente si parla di diritti violati, di popoli ancora oggi sottomessi ad un potere politico che dispone della vita degli individui e non si può non riflettere sugli indiscussi contributi della scienza medica dei quali solo poche e privilegiate persone possono godere.
Nel contempo, non sfuggono i pericoli etici insiti nelle nuove scoperte scientifiche quando applicate a scopi che non salvaguardano la dignità della vita umana, considerato che sembra che tutto sia ormai concesso ricercare e applicare in nome della ricerca e che sia o meno poi etico o morale il risultato o la sua applicazione, questo sembra poco importare, l’importante è sempre la “nuova scoperta”, poiché le “moderne virtù cardinali-successo, industriosità e veridicità- sono le più grandi virtù della scienza moderna”, così si esprimeva la Arendt in un saggio sulla Vita Activa e l’età moderna.
Come si sia giunti oggi, malgrado le conoscenze acquisite, alla convinzione che di tutto si può disporre, anche della vita propria ed altrui, può sembrare incomprensibile; una ipotesi è da ricercare nella decadenza di principi e valori che hanno segnato il cammino dell’umanità, decadenza che l’homo politicus odierno sembra fare propri con grande facilità.
Ci è di conforto in questa tesi quanto espresso da Savagnone:
“ Anche la politica sembra aver perduto, con il tramonto delle ideologie, ogni prospettiva di un cambiamento a lunga scadenza della nostra società. Ma bisogna riconoscere che questa ha molto contribuito all’eclissi della speranza in un cambiamento radicale della nostra società e nella possibilità di costruire un mondo più giusto e più umano” e più oltre “ L’unico tema che ancora sembra accendere il dibattito politico oggi sono i diritti degli individui. Un problema certamente importantissimo ma che, sradicato dal più ampio orizzonte del bene comune, rischia di dare di questi diritti una visione individualista e sostanzialmente difensiva”.2
Valori, diritti, dei quali la Arendt a lungo ha sviscerato nelle sue molteplici opere e che, malgrado stupisca la sua pertinace laicità, la inducono a dire:
“ Il mondo, così come Dio l’ha creato, mi sembra buono”3, e quasi di seguito, con le stesse espressioni del libro della Sapienza:
”Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutto per la vita: le creature del mondo sono sane, in esse non c’è veleno di morte, né gli inferi regnano sulla terra, perché la giustizia è immortale”.
Quanta fiducia traspare da queste parole! Non in una fede o in una religione, poiché non ne professava alcuna, ma semplicemente con la fiducia in Dio, quasi una forma di infantile ingenua certezza nell’unico Creatore del mondo; eppure l’esperienza di una giustizia, che può essere immortale nel concetto ma che Hannah aveva ben constatato sulla propria pelle quanto relativa fosse, ancora le fa credere ad una sorta di “miracolo”, malgrado l’esperienza della tragedia nazista che aveva colpito sei milioni di ebrei, per non sottacere delle vittime di altre nazioni.
Quello che maggiormente colpiva la Arendt, era l’indifferenza dei molti intellettuali dell’epoca asserviti al regime e di questa indifferenza a lungo si trovano le tracce nel Carteggio con Karl Jasper, ma anche in altre opere, specie nella Lingua Materna; questa indifferenza preparava il terreno ad ogni futuro totalitarismo e alla presunzione dell’uomo di poter modificare il mondo a proprio piacere. E, se proprio vogliamo collegare questo suo timore al campo bioetico, che cosa non si cerca di fare oggi con gli embrioni, con le cellule staminali, con l’inseminazione artificiale e quantaltro è riferito alla persona che si vuole a tutti i costi in questo modo, manipolare,selezionare…non è forse un films i cui prodomi erano iniziati più di cinquant’anni fa e che le nuove scoperte biotecnologiche consentono di esercitare? Esiste nel pensiero arendtiano una visione bioetica della “persona”, estesa e qualificata ma sommersa.
E’ insito nella Arendt, il timore che quanto avvenuto potesse ripetersi, e si è ripetuto ed avviene ancora oggi in varie parti del mondo che continuiamo ostinatamente a chiamare “civile”, né si può in fede credere che i timori della Arendt fossero solo speculazioni filosofiche atte a riempire le pagine dei libri: quello della Arendt scaturisce da una visione del mondo che è in primo luogo una visione etica e morale.
Se confrontiamo alcuni suoi passi, in merito ai diritti della persona, non possiamo non rilevare che a questa riconosce l’intangibilità e la sacralità che gli è dovuta proprio per essere in primo luogo “persona” e, quindi, un “inizio” di umanità, pertanto, la vita deve essere “amata” poiché ogni vita è una rifondazione di questa fede capace di “smuovere le montagne”, la stessa fede e visione positiva della vita che nel Carteggio con Jasper le fanno dire quali sono “le vere realtà della vita umana: amore, alberi, bambini musica”4.
Di queste realtà si occupa anche la bioetica nelle sue varie branche, come scienza in grado di migliorare la qualità della vita negli ecosistemi, senza mai dare nulla per scontato ma studiando le soluzioni che possano contribuire a migliorare e a garantire la sopravvivenza delle future generazioni.
Di questo se ne rese consapevole Potter, che, nel lungo periodo del suo esercizio di medico e di fondatore della nuova disciplina, non si preoccupò solo della salute dell’uomo ma della necessità di tenere conto dell’ambiente di vita nel quale ciascun individuo nasce, cresce, vive, muore.
Garantire una migliore qualità della vita richiama quindi al principio centrale, nella bioetica, di responsabilità che nell’opera: Bioetica.Ponte verso il futuro, Potter già richiamava: responsabilità che non può essere solo individuale ma collettiva, poiché l’uomo ha in sé la capacità di distinguere il bene dal male e la possibilità di scegliere come agire.
Sul principio di responsabilità, sul senso comune, sull’agire umano, ben lo ritroviamo in Hannah Arendt, poiché ciò che è davanti a tutti, la realtà, non è riconducibile ad un prodotto dell’uomo ma è una “verità” che deve essere interpretata, accolta, interrogata.
L’idea di verità implica una rivelazione poiché: “Alla “consistenza della verità” appartiene…il fatto che essa riguarda un mistero e che la rivelazione di questo mistero ha autorità. Verità…non è lo svelare che annienta il mistero, ma è la rivelazione che gli rende giustizia”5, in linea con quanto espresso dal suo caro amico Walter Benjamin: “ la natura stessa della verità, al cospetto della quale anche il più puro fuoco della ricerca si spegne come fuoco sott’acqua…”.
Del primato della verità in bioetica, Giovanni Russo così si esprime: “…una bioetica dove il primato della prassi umana e delle sovrastrutture socio-politiche fosse totalizzante, e cioè non ammettesse l’alternativa posta in una metodologia sul primato della verità, sarebbe una bioetica per ciò stessa ideologica, autonomistica e dogmatica. Al contrario, il primato della verità, che libera dalle ideologie, si manifesta come un antigiuridismo bioetico ( poiché le libertà in conflitto esigerebbero di essere tutelate nelle loro scelte individuali) che supera i conflitti di interessi nell’interesse per la dignità dell’uomo in sé e per sé”6.
Scaturisce allora a questo proposito una riflessione: tutto ciò che circonda l’uomo fin dal suo apparire nel mondo, è già preordinato, è qualcosa di costruito da altri, da coloro che lo hanno preceduto e che continuamente evolve che si sia o no d’accordo.
Questo mette in discussione il potere dell’uomo sul mondo dal quale tenta di evadere per rifugiarsi nel pensiero, poiché i sensi non bastano da soli a spiegare la fede, la ragione; tutto quanto può essere calcolato, misurato, può solo ricordagli la sua dipendenza da quanto lo circonda.
Ne consegue una fuga dalla realtà e il rifugio nella capacità di pensare intensamente poiché la volontà non è in grado di cambiare o di evitare ciò che non è in suo potere di eliminare o modificare: la realtà che vive intorno a noi e che percepiamo con i sensi.
La persona, non è una monade ma vive in una società che pratica ideali, visioni, posizioni eticamente diverse: non vi può essere una “morale neutrale” come giustamente osserva il Pellegrino in un suo articolo, ed ogni scelta personale coinvolge ed ha ricadute a breve o a lungo termine anche su coloro che vivono intorno a noi, non diversamente da quanto ribadito nella Spe Salvi: “ Nessuno vive da solo. Nessuno pecca da solo. Nessuno viene salvato da solo. Continuamente entra nella mia vita quella degli altri: in ciò che penso, dico, faccio,opero. E viceversa”.7
“Penser su que nou faison” è stato sempre il motto della Arendt e dovrebbe
essere ancora oggi una linea guida, un principio etico, una morale che dovrebbe accompagnare ogni nostra azione, poiché nulla si compie che non susciti una ricaduta a breve o a lungo termine, su quanto ci circonda, siano esse persone o ambiente, poiché: “ Dal mistero dell’uomo , quindi, deriva quella serie mai conclusa di problemi sollevati dall’esistenza umana. Infatti, ogni potenzialità umana porta in sé gli interrogativi relativi al suo significato per l’oggi e per il domani sia dell’individuo, sia della comunità umana in cui è inserito, fino ad estendersi ai riflessi e agli influssi sull’intera umanità”8
Dilungarci ulteriormente per cercare i collegamenti tra i principi della bioetica e i principi espressi dalla Arendt nelle sue molteplici opere, sarebbe solo un cammino che ci porterebbe a ripercorrere e ad analizzare la sua vasta produzione letteraria nella quale l’oggetto di studio è sempre la “ persona”, i suoi diritti, la sua intangibilità, la libertà: principi non dissimili né da quelli propugnati da Potter né da quelli successivamente meglio ampliati da Reich.
Non è questo l’intento che ci siamo proposti, poiché le opere di questa filosofa ebrea americanizzata ( ma che mai ha rinnegato le proprie origini, a differenza di altri e ben noti personaggi), sono oggi alla portata di tutti, sia come testi ormai tradotti in ogni lingua, o come materiale multimediale di interviste all’autrice, lezioni e commenti su numerosi personaggi da lei personalmente conosciuti: tutto é reperibili su vari siti internet, per non parlare delle numerose ristampe delle opere arendtiane.
L’unico nostro intento è quello di rendere omaggio ad un’autrice che ha saputo offrire alla riflessione temi che, affrontati da sempre nel dibattito filosofico, offrono una prospettiva di lettura che va oltre la speculazione puramente filosofica.
Colpisce la sua lungimiranza e non ci si stupisce quindi se intorno al pensiero della Arendt oggi il dibattito sia ancora acceso, poiché la mente umana non cessa mai di ricercare, tradurre, interpretare, riflettere sugli accadimenti percepibili dai sensi.
Dio ha dato all’uomo questo dono che non dovrebbe essere sprecato nella ricerca affannosa di impossibili giustificazioni dell’agire umano quando questo avviene al di fuori di ogni regola morale ed etica ma per riconoscere i limiti che innegabilmente ha la mente umana. Solo la certezza che proviene dall’essere ciascuno persona, seppur unica e irrepetibile, quindi non infallibile, potrà forse guidarci verso una dimensione che trascenda la conoscenza già acquisita che come una valigia sempre pronta ci accompagna nel lungo o breve viaggio della nostra vita e che poche volte apriamo nel timore che quanto in essa é conservato, non sia più utile né a noi né ad altri perché non più consoni ai tempi nei quali viviamo.
Aggiornare nuovamente le conoscenze, non significa rinnegare quanto si è acquisito, semmai dovrebbe costituire uno stimolo ad approfondire, ricercare cose sempre nuove, integrare, lasciandoci guidare sempre, non dall’utile o dalle mode imperanti, ma da principi morali ed etici, gli unici che diano senso e valore all’ agire umano.
Gli unici principi che possano promuovere una qualità di vita migliore di quella fino ad oggi vissuta quasi passivamente o per contro affannosamente alla ricerca di quel quid in grado di soddisfare le esigenze più estreme.
Allora il monito della Arendt dovrebbe essere sempre presente alla nostra mente: Penser su que nous faison, per cercare di agire con rettitudine morale, per seguire quella legge morale che è in noi già inscritta, e contribuire in questo modo a migliorare noi stessi e la società in cui viviamo.
In questo modo, forse, si può pensare ad una rifondazione della qualità della vita, nel rispetto della libertà della persona, dei suoi diritti, e nel rispetto dell’ambiente che con la sete incontrollata di dominio abbiamo contribuito a stravolgere.
Caterina Tagliani
1 E.D. Pellegrino in G.Russo, Fondamenti di metabioetica cattolica, Edizioni Devoniane,Roma,1993,p.17
2 G.Savagnone: Le coordinate della Speranza e la società contemporanea, in G.Russo, La speranza: attesa di un eterno già donato. Coop. S.Tommaso, Elledici-TO 2008, p..63.
3 E. Young-Bruehl: Hannah Arendt 1906-1975, Per amore del mondo, Bollati Boringhieri, TO, 1990, p.18
4 H. Arendt- Karl Jaspers: Carteggio, 7-9-52,op. cit.pag. 117-119.
5 H.Arendt, Il futuro alle spalle, Il Mulino, Bologna, 1992, pp.89 e seg.
6 G.Russo: Foonademti di metabioetica cattolica, Edizioni Devoniane, Roma, 1993, p..58-59.
7 Spe Salvi”, p.48
8 R. Frattallone: Antropologia ed etica sessuale, Coop S.Tommaso,Messina 2001,p.11